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Società di Psicoanalisi Interpersonale e GruppoAnalisi

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Testimonianze allievi

Discorso presentazione S.P.I.G.A. del 20/10/2012 di Norma De Simone

Discorso presentazione S.P.I.G.A. del 20/10/2012

di Norma De Simone

 

Vorrei cercare di trasmettere l’interesse cresciuto dentro di me verso la teoria e tecnica horneyana e cosa oggi accade, quando entro nel mio studio per incontrare uno dei miei pazienti.

Nel corso degli anni che hanno preceduto il percorso/l’esperienza alla SPIGA, ho esplorato vari ambiti formativi, ho svolto tirocini e volontariati – facendomi trasportare da quella che oggi, finalmente, chiamo CURIOSITA’ – senza però riuscire ad esserne soddisfatta.

A ciò si aggiungono gli anni di lavoro – diciotto – in una Comunità di tossicodipendenti, all’interno della quale ho ricevuto una formazione sistemico-relazionale. Seguivo i pazienti e la Comunità faceva da intermediaria. Nel corso degli anni sono stata seguita in supervisione. In una di queste, il supervisore, che ancora oggi ringrazio, riuscì ad ascoltare meglio di me, in quel momento della mia vita, la sensazione che vivevo nel ricercare altro.

In quell’occasione mi indicò la S.P.I.G.A., facendo il nome del professor Morrone. Uscita dal suo studio mi sono chiesta: perché proprio la S.P.I.G.A.? La risposta non riuscii a darla subito a me stessa, se non dopo un po’ di anni.

Rientrata a casa, ricordo di aver aperto il computer per cercare informazioni sul sito internet e, subito dopo, andai a comprare uno dei libri di Karen Horney.

In quella libreria trovai solo una sua opera “I nostri conflitti interni”. Nel corso del viaggio di ritorno in Calabria, ne lessi buona parte.

Tra le informazioni apprese su internet e la lettura del libro, ricordo che fin da subito rimasi affascinata dal modo di scrivere semplice di questa donna, che percepii, fin dall’inizio, rivoluzionaria e dai contenuti psicoanalitici rivoluzionari. Ho immaginato il suo essere donna e le difficoltà che, in quel periodo storico, ebbe il coraggio di affrontare, sfidando la cultura psicoanalitica esclusivamente maschile. Il modo di raccontare la teoria (uso il termine raccontare proprio perché mentre si leggono gli scritti della Horney sembra che si legga il racconto di ognuno di noi) è sempre accompagnato da esempi clinici, scritti molto intensi, carichi, ad ogni lettura, di nuovi contenuti, caratterizzati da una visione positiva dell’essere umano.

Immaginando e pensando al coraggio e alla teoria della Horney, che avvertivo molto attuale, telefonai alla scuola per fare i colloqui di ammissione.

Il cammino iniziò in gennaio 2006.

Nel corso della frequentazione, o meglio del viaggio nella S.P.I.G.A., gradualmente mi resi consapevole di quanti aspetti non avevo preso in considerazione: in particolare, l’importanza dell’esperienza e un’attenta osservazione delle diverse e variegate sfumature della natura umana. Compresi che avrei dovuto conciliare dentro di me esperienze e approcci terapeutici diversi, divenendo sempre più consapevole di come fosse complesso e delicato parlare del paziente e col paziente.

L’approccio e la frequentazione della S.P.I.G.A, infatti, mi diedero lo stimolo ed il coraggio di espormi avviando l’attività privata.

Dopo circa sei mesi dall’inizio della scuola ricevo la mia prima paziente nel mio studio. Il caso è stato esposto nella mia tesi.

Durante il percorso formativo ritrovai nei didatti, tramite le supervisioni svolte, l’atteggiamento fiducioso, tipico horneyano, verso il paziente. Ad ogni supervisione svolta con loro uscivo sempre meravigliata, affascinata, incuriosita e, soprattutto, con la libertà di…

Mi affascinava la fiducia nelle risorse dell’essere umano, nel credere, ATTENDENDO che quella persona prima o poi avrebbe portato le soluzioni, liberandosi dalle catene delle pretese, per poi ri-appropriarsi delle sue reali potenzialità.

So bene che tale percorso è faticoso, ma oggi so, anche, che devo saper attendere.

Spesso ho dovuto fare i conti con il senso di impotenza, con “la tentazione di accendere la torcia” – come dice il professor Morrone – nel momento in cui il paziente sta nel buio, dando interpretazioni o spiegazioni razionali e tecniche. Ma oggi so che

“Lo scoprire da se stesso un sentiero, dà all’individuo una sensazione di forza assai maggiore di quella che non provi seguendo un sentiero già battuto da altri. Prodezze del genere fanno sorgere in lui, non solo un orgoglio ben giustificato, ma anche un fondato sentimento di fiducia nella propria capacità ad affrontare situazioni critiche e a non sentirsi smarrito quando gli manchi una guida” (Horney, 1942, p.26).

Nel corso del cammino psicoterapeutico con la paziente, parallelo al cammino professionale e personale, ricordo l’insieme delle emozioni provate e l’emergere, graduale, della consapevolezza della mia personale e naturale tendenza a cercare in tutti i modi di stare con lei. Chiudendo la porta dello studio, mi sono resa conto di quanto fosse importante essere con la paziente, stando nello stesso tempo in contatto con le mie e le sue emozioni. Percepivo e sentivo che lei era un essere a sé stante, con il suo dolore, con la sua storia, con una sua caratterizzazione. La sensazione, che oggi definisco la più affascinante, è stata quella di trovarmi di fronte sempre a qualcosa di nuovo; quindi, di non utilizzare mai le stesse modalità di procedere, perché tutto, in quei momenti, principalmente si concentrava (e si concentra) sul sentire me e l’Altro, pur avendo dentro di me dei riferimenti teorici.

Oggi sono con i pazienti e le loro emozioni.

Nel corso del tempo mi sono appropriata sempre di più della consapevolezza di aver preso ciò che serve a me per essere terapeuta, che le emozioni sono i miei strumenti, che con il paziente si cresce assieme, anche attraverso gli errori. Si aiuta l’Altro (e se stessi) a guardare il mondo da un punto di vista diverso. Si aiuta l’Altro (e se stessi) ad avere meno paura e più fiducia.

Il fine sta nell’aiutarlo a riacquistare la sua spontaneità, a ritrovare dentro di sé i criteri di valutazione; in breve, a dargli il coraggio di essere se stesso.

Oggi, dopo tutto ciò, capisco perché il Direttore scientifico, nonché supervisore della Comunità, mi ha indirizzata alla S.P.I.G.A.

In quel tempo, ha riconosciuto in me il desiderio di raggiungere l’obiettivo – principio cardine della tecnica horneyana – di far emergere ciò che è vicino al Vero Sé, il terapeuta che c’era e c’è in me, di ricercarlo non in una tecnica esterna, ma recuperando e riappropriandomi di quelle caratteristiche che sono già di mia proprietà.

Oggi nel mio studio sono lì con il paziente, sono al centro dell’essere del mio paziente; e nello stesso tempo sono con me stessa.

 

Bibliografia

Horney K.,(1942), “Autoanalisi”, Astrolabio, 1971.